LA PRODUZIONE DELLA CALCE

 

La calce veniva ricavata dalla cottura delle pietre di calcare (sa perda ‘e pranu). Pertanto le fornaci sorgevano generalmente in quei luoghi come l’altopiano di Su Pranu ricchi della necessaria materia prima.

Le fornaci, “i’ forros de cartzina”, avevano una forma tronco-conica ed una struttura imponente. Spesso infatti erano alti anche  6 – 7 metri, con un diametro di 5-6 metri ed un’apertura d’ingresso ampia ed alta fino a 2 metri. La parte superiore de i’ forros rimaneva aperta. La produzione della calce era lunga e laboriosa e richiedeva l’ausilio di molte persone. Alla base del forno c’era una muratura di pietre di scisto, chiamata “sa banchina”. Si usava lo scisto per evitarne la fusione. All’interno del forno e partendo da “sa banchina” si cominciava a disporre le pietre, quelle grandi “contones” al centro e quelle piccole all’esterno fino ad arrivare a “sa camisa”, cioè la parte interna delle pareti de su forru. L’imboccatura della fornace veniva via via chiusa dalle pietre ma si lasciava una piccola apertura chiamata “ sa ucchedda” o “ucca ‘e su forru” dalla quale veniva introdotta la legna per l’alimentazione del fuoco necessario ad operare la trasformazione. Sa ucca ‘e su forru era delimitata lateralmente da delle grosse pietre, generalmente squadrate, chiamate “is ispallinas”.

Le pietre venivano perciò accatastate l’una sull’altra facendole man mano sporgere verso l’interno fino a formare una sorta di galleria la cui sommità era detta “sa copula”. Alla base del forno veniva lasciato uno spazio libero di pietre, chiamato “su cheddargiu”, che praticamente funzionava da camera di combustione. Una volta sistemate tutte le pietre dalla bocca della fornace si cominciava a introdurre la legna. La fornace veniva fatta bruciare per un periodo da 5 a 10 giorni, durante il quale si immetteva continuamente della legna, grossa ed in fascine. Per una cottura occorrevano anche 11.000 fascine. Addette alla preparazione delle fascine erano generalmente le donne che lavoravano a giornata e che infatti erano chiamate “gerronaderas” . Invece gli addetti alla fornace erano chiamati “cartzinargios”. Questi ultimi solitamente lavoravano in coppia a turni di 6 o 8 ore ciascuno, durante i quali sorvegliavano la combustione della fornace e provvedevano a introdurre altra legna. Quando s’introduceva dell’altra legna spesso c’era un ritorno di fiamma, cioè su forru arremuccaiat. La legna veniva spinta con forza quasi fino a pressarla con  Is triuzzos (i forconi), che permettevano di lavorare ad una debita distanza dal calore. Il fumo usciva dall’alto, passando negli interstizi tra una pietra e l’altra.. Le intercapedini però venivano chiuse all’esterno con fango (ludu) o argilla (terra lugiana). Per permettere una combustione migliore non venivano sigillati gli interstizi che si trovavano nella parte sommitale ed esterna de su forru. Quando la fornace finiva di bruciare veniva lasciata per 3 o 4 giorni a raffreddare dopodiché si poteva togliere la calce, “sa cartzina”, cominciando ad asportarla dall’alto. Sa cartzina aveva una colorazione bianca ed un aspetto solido, ma già dopo 10 – 15 giorni i blocchi  di calce iniziavano a sfarinarsi. Da ogni fornace si potevano ricavare fino a 1.000 quintali de cartzina. Quella  migliore veniva ricavata dalla fusione del calcare più chiaro.

                                                                                     

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