Is sonaggias testimoniano l’antico legame del paese
col mondo pastorale. Le botteghe dove lavoravano i sonaggiargios sono
quelle di un tempo, raccolte in una stanza dalle pareti annerite e con gli
attrezzi essenziali, con sa incudinitta, la piccola incudine per dare
forma ai campanacci, con is serros, le cesoie per il taglio della
lamiera, con i diversi martelli, su marteddu po pistare, su marteddu
po furriare, con una mezza dozzina di bottos, di crogiuoli provati
dal fuoco, necessari per l’imbrunitura del rame fuso, e con l’immancabile
battaglio d’osso, su limatzu, utilizzato per saggiare suoni e
vibrazioni. I modelli di campanacci che vengono prodotti sono una trentina
divisi in 3 categorie, una di forma tonda, un’altra di forma lunga, una terza,
infine, di forma quadra. Il tipo tondo, richiesto da tutto il campidano è
chiamato quartesa; il tondo grande è venduto in tutta l’isola, mentre il
tipo lungo è smerciato nella Sardegna centrale, nella zona di Narbolia, da cui
prende il nome. Il tipo quadro chiamato cossasa è venduto in Barbagia e
nel settentrione dell’isola. Ciascuno dei trenta modelli ha un nome che lo
identifica e si va dal più piccolo dei tondi, su pitiolo e soddu, al più
grande dei lunghi, su petzu mannu. Questi ultimi sonaggiargios
fanno udire spesso il suono ritmico ed inconfondibile dei loro martelli,
mentre, seduti sopra su bancheddu, plasmano rettangoli di lamiera e
danno prova ogni volta di abilità e di infinita pazienza.
“Is sonaggias”, i
campanacci, sono destinati a greggi e mandrie. I trenta modelli di campanacci,
costruiti in forma tonda, quadra e lunga, vengono smerciati in ogni angolo
della Sardegna. La pastorizia
dell'isola ha sempre ritenuto fondamentale l'uso de “is sonaggias".
Attraverso
essi, infatti, il pastore coglie ogni spostamento, ma anche lo stato d'animo,
dei propri animali. L’arte della produzione dei campanacci: il fascino ed il
mistero di un antichissimo mestiere. Quando il fabbricante di campanacci “intrat in sonu” i
campanacci fusi si assiste a questo sapiente battere dell’artigiano che estrae
il suono voluto. Le fucine dei Sonaggiargios risuonano di mille
musiche, un vero e proprio concerto. "Sonaggios, coppias,
narboliesas, traccas", sono i nomi fantasiosi dei campanacci più
diffusi e Tonara è l'unico paese sardo che ancora li produca. In paese poche
famiglie ed altrettante officine tramandano la tradizione antica: i
Floris, i Sulis e, fino a qualche
anno fa, anche i Patta. Dalle loro
mani escono ogni anno centinaia di migliaia di campanacci, tutti diversi come
musica l'uno dall'altro. E questo mondo dei "Pitiolargios"
(costruttori di campanacci) con i suoi ritmi e le sue suggestioni, evoca
insieme fascino e mistero. Il fascino di un mestiere che affonda le sue radici in una remota tradizione.
Il
mestiere infatti è custodito gelosamente e tramandato da padre in figlio: i
maestri non lo insegnano a nessuno che non sia della famiglia, rispettando una
promessa fatta agli antenati.
Nessuno sa quali sono le tecniche di lavorazione, come si fonde l'ottone
negli antichi crogiuoli, quale sia la tecnica per “accordare i campanacci”.
L'insieme dei campanacci usati in un
gregge, si chiama "su ferru, ogni pastore li acquista ripartendoli in: invernali, quelli più
leggeri, visto che pecore sono magre, e
primaverili, quelli più pesanti o ferru grussu. I
campanacci hanno un sistema di misurazione particolare, si stimano “a
francos", cioè, secondo il prezzo che costavano nel periodo
precedente alla Seconda Guerra Mondiale.
Il campanaccio "da unu francu", da una lira,
vale in realtà quasi ventimila lire.
Chi è estraneo a questo mondo e dovesse sentire le contrattazioni tra il venditore e il
pastore, non capirebbe assolutamente il valore reale delle merci scambiate.
I
campanacci che escono dalle officine si possono definire dei veri e propri
oggetti da museo, anche se
studiati e progettati per il mondo patorale. Su quest'arte antica sono
fiorite molte leggende. Per esempio, si racconta che un vecchio Pitiolargiu
avesse inventato le “traccas", un tipo di campanacci
quadrati usati per le mucche e per le pecore adulte. Pare avesse visto il modello nelle greggi della Grecia. Cosi le introdusse a Tonara,
cinquant'anni fa.