I FRUTTI DELLA MONTAGNA:

CASTAGNE, NOCI E NOCCIOLE

 

Castagne, noci e nocciole ebbero, fino a non molti anni fa, un’importanza fondamentale nell’economia e nella alimentazione delle popolazioni della Barbagia di Belvì. Quasi ogni famiglia possedeva un piccolo appezzamento di terreno con alberi di castagno e spesso anche noci e noccioli. Alla cura di noceti, noccioleti e castagneti provvedevano indifferentemente uomini e donne. Gli alberi non avevano bisogno di cure particolari, escluse le potature (pudaduras) e gli innesti (is ifferturas). Il suolo qualche volta veniva arato e, nei castagneti soprattutto, quando il terreno era in forte pendenza, si costruivano dei muretti a secco intorno agli alberi per arginare la terra e farli crescere meglio. Inoltre, soprattutto nei castagneti e nei noccioleti sui fondi scoscesi, si costruivano dei terrazzamenti (is tremesas) per impedire ai frutti che cadevano dai rami di rotolare completamente a valle. L’operazione fondamentale prima della raccolta di noci, nocciole e castagne era la pulitura del sottobosco venivano cioè tolte le erbacce e le spine per favorire la raccolta. Durante la raccolta poi occorreva munnare, cioè scopare con dei rami di erica (su frammiu) per togliere le troppe foglie che d’autunno cominciavano a cadere. Talvolta si poteva procedere a bacchiare gli alberi di noce e di castagno (maggiare sa mata) con una lunga pertica (Sa pertiga). Per i noccioli bisognava invece scuotere energicamente gli alberelli per far cadere i frutti (iscutulare i linzolas).  

Le castagne venivano raccolte con cura per non farsi pungere dai ricci, s’ischissone. Qualche volta i ricci venivano ammucchiati tutti insieme in una tremesa poi si afferravano con un rametto di castagno a forma di forcella (sa fortzidda) e si percuotevano con una pietra per far uscire le castagne. Questa operazione veniva detta ischissonare.

Una volta raccolte, castagne, nocciole e noci venivano messe dentro sa sacchetta, una piccola sacca di orbace tessuta sui telai tradizionali, o in su saccu, un sacco più grande,  generalmente di juta o ancora dentro la bisaccia, sa bertula. Al trasporto di quest’ultima provvedevano gli uomini, mentre le donne si occupavano di trasportare sa sacchetta, che veniva sistemata in testa sopra su tedile, un panno arrotolato che  serviva per reggere meglio il carico in equilibrio.

Generalmente noci, nocciole e castagne venivano vendute e solo una piccola parte era destinata al consumo familiare.  Talvolta si scambiavano direttamente con altri prodotti alimentari, provenienti dalla pianura: fave (sa fae), fagiolini (faigedda) grano (trigu), orzo (orgiu) ed olio (oggiu ermanu). Tutti i frutti del bosco non si vendevano a peso, cosa che del resto accade anche oggi, ma si  adottavano e si adottano delle unità di misura molto particolari: unu quartu, corrispondente ad un quarto di litro; mesu litru,, mezzo litro; duo litros, due litri; un imudu, cinque litri; su cartutzu, 10 litri; unu cartu equivalente a 20 litri (binti litros o battero imudos); sa carra corrispondente a 25 litri (bintichime litros o chime imudos) ed infine su mou, lo starello equivalente a 50 litri (chimanta litros o 10 imudos).

Una curiosità è data dal fatto che i recipienti corrispondenti alle misure accennate non venivano riempiti a raso, come ad esempio nel caso del grano, ma a cuccuru, cioè ben sopra il limite superiore del contenitore.

Le castagne, non duravano a lungo e perciò venivano vendute agli ambulanti, is carrattoneris, ai Santi o a Natale. Costoro poi le rivendevano nel Campidano per acquistare grano, olio o anche vino. Per conservare le castagne più a lungo le si metteva in sa fossa, una buca scavata nella terra nel fondaco (su funnagu) al piano terra della case.  Sul piano della fossa ci si curava di preparare un letto (isterrere) di felci (filige) o di ramoscelli di corbezzolo (pinnones de illione. Felci e rami di corbezzolo servivano anche a ricoprire le castagne che così duravano più a lungo, almeno fino a Pasca manna (la Pasqua).

Con le castagne, le patate, i fagioli ed il lardo si preparava uno squisito minestrone. A tale scopo le castagne dovevano essere fatte seccare si mettevano quindi dentro un sacco po ddos iscrabinare, cioè per agitarle affinchè perdessero la buccia ( po nne ddi si annare su piggiolu). Quindi dovevano essere setacciate (isedatzadas) in su sedatzu, o in su chilivru, un setaccio a maglie più larghe. Le castagne che non perdevano tutta la buccia venivano lessate cun patata isperrada, patate affettate proprio in mezzo. Le castagne venivano poi cucinate arrosto in su testu, una padella bucherellata, oppure a lissu, cioè bollite. Bollite potevano essere cucinate anche pitzigadas, cioè prive di una piccola parte della buccia per insaporirle e facilitare la cottura, soprattutto appena colte.

Con le noci, su coccoro, e le nocciole, sa linzola o nuxedda, si preparavano tanti dolci: il gattò, su pane e saba e sopratutto i famosi caschettes di Belvì, ma anche i guelfos, e poi pastas prenas, pane e Natale e torrone  a Tonara. A seconda della qualità si poteva distinguere su coccoro perdosu  (quando il gheriglio non fuoriesce dal guscio) da su onu a segare, cioè le noci che si sgusciavano intere e con facilità. Coccoro indica il frutto maturo mentre le noci non ancora mature si chiamano nuge, proprio come l’albero. Le noci attaccate dal verme si definiscono coccoro puntu. Questa definizione vale anche per le castagne. Mentre per linzola calìa si intendono le nocciole che non si staccano dal picciolo che le ricopre (sa cocozzola). Noci, nocciole e castagne possono essere coinargias, quando maturano tardivamente o capudargias, quando maturano anticipatamente. Le castagne di scarto che non arrivano a maturazione si chiamano ungone.

Alle donne spettava un ulteriore lavoro da svolgere a casa. La cernita delle castagne. Infatti esse provvedevano a seberare sa madura dae sa pittica, cioè a separare quelle più grandi da quelle più piccole. Naturalmente bisognava anche scartare le castagne coi vermi (sa punta). A questo scopo le castagne potevano essere messe nell’acqua e così quelle coi vermi o ammuffite venivano a galla. Nelle annate siccitose (in annos de siccagna) le castagne venivano tenute in acqua anche per due o tre giorni al fine di farle durare più a lungo. Infatti in mancanza di questi accorgimenti sa castagna si oghiada, cioè fuoriusciva il peduncolo e divenivano immangiabili. Sa castagna oghìa, sa punta e s’ungone venivano date agli animali.

 

                                                                                     

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