Morù

(liberamente adattato)

 

di Nino Mura

 

   Per chi scendeva, sessanta anni addietro, lungo gli scoscesi gradoni che da Pratza manna, cuore antico e rappresentativo del rione di Toneri, portavano e portano ancora alla piazzetta di Senti Cocco (alias Vincenzo Cocco), aveva l’opportunità, soffermandosi al limite di detto spiazzo, di inquadrare Morù, l’ultima delle contrade non solo del vicinato ma anche dell’abitato di Tonara.   Doveroso precisare che detto centro barbaricino risultava diviso in tre distinte frazioni ben distribuite sui fianchi della montagna (Arasulè, Toneri e Teliseri), ognuna delle quali comprendeva diverse contrade.   L’impressione che lo spettatore riceveva dall’ultimo avamposto della contrada di Senti Cocco era quella di un presepe vivente incastonato sulla roccia in prossimità dell’avvallamento della rupe di Su Toni.

Il quadro proposto dall’avamposto di piazzetta Senti Cocco presentava, a partire da destra verso sinistra, nello spazio di circa centocinquanta passi: un primo gruppo di abitazioni quasi incollate alla parete calcarea della montagna con il fronte occupato da piccole strisce di terra, adibite alle provviste di legna ed ad altri usi domestici,  due agglomerati di piccole case con i muri divisori in comune e con i tetti spioventi su un solo versante, una serie di viottoli che dalla strada andavano a raggiungere tutte le singole abitazioni componendosi e scomponendosi nei vari acciottolati della contrada.   Al disotto della via principale, degli appezzamenti di buona terra andavano a guadagnare un avallamento del terreno denominato Su Acu che al tempo delle piogge riceveva dall’alto le acque di Cracalasi per poi inseguire più in basso gli apporti idrici della sorgente di Morù.   Al disopra dei tetti delle abitazioni, il fumo dei comignoli non impediva di inquadrare la folta e fitta vegetazione che per larghi spazi sembrava proteggere, oltre che abbellire, l’abitato dalle insidie della lunga parete.   Quindi, nella successione dal basso verso l’alto, la piazzetta ci consentiva di osservare alcuni fazzoletti di terreno di poche are d’estensione, la strada principale, le casette di prima e seconda fila, i viottoli a forma di scalinata, i tetti delle abitazioni con i comignoli sempre in attività e la folta vegetazione con i ciuffi sbuffanti verso gli anfratti e le spigolosità di un tacco roccioso che nella sua severità ed imponenza poteva permettersi il lusso di sorreggere l’altopiano illuminato d’oro.   Il tutto sembrava una borgata in caduta libera verso la minuscola piazza di Senti Cocco e le rovine di Santa Anastasia.   Cima Fais, il punto in cui sorge il sole, era occultata dalle contrade superiori di Toneri.  Alla destra, al disotto delle ultime case di Cartutzè, era ben visibile il rudere della vecchia parrocchiale di Santa Anastasia. In alto alla chiesa sconsacrata il crinale dei monti chiudeva questo magico scenario fatto di casette di fango e di  tetti d’argilla in continua rincorsa verso il fondovalle.   Questo era il lato paesaggistico offerto nel passato dalla contrada in questione.

Per ciò che riguardava il lato umano devo mettere in discussione la fontana a più bocche di Morù.   Specie d’estate, durante le vacanze estive, era un punto di ritrovo di notevole richiamo per bambini, giovani ed anziani.   Più lunga l’attesa per i conduttori di asini e cavalli i quali dovevano pazientare a lungo prima che gli animali trovassero il momento adatto per soddisfare la loro sete. Talvolta bastava un nonnulla, un movimento involontario da parte di chicchessia o il più semplice dei brusii, che i quadrupedi abbandonassero la vasca di decantazione e riprendessero la loro strada.   Di donne, inginocchiate su ristretti spazi fatti di pietre levigate e di rivoli copiosi, intente a mettere in ammollo, sciacquare e strizzare i panni del loro bucato, ne vedevi sempre un numero discreto. Le portatrici d’acqua costituivano spesso delle brevi processioni che si ripetevano in continuazione per l’intero arco della giornata lungo le varie vie del vicinato.  Sembra di sentirle quando facevano richiesta di un aiuto alle comari di turno per il giusto posizionamento del cercine tra la brocca ed il capo. Stesso discorso valeva per livellare il mastello del bucato sulla cervice. Aggiudaiemi  omare a m’assentare sa brocca in pitzu ‘e su tedile oppure a m’assentare s’ischiu.  Tutto questo si sviluppava intorno alla fonte di Morù.   Annare a Funtana era l’espressione tipica di chi intendeva raggiungere detta sorgente. Era sufficiente fare cenno al solo appellativo per riconoscere il sito in questione.  Nonostante detta fonte costituisse il perno più importante e determinante delle correnti di traffico dell’intero vicinato di Toneri, non bisogna sminuire la vitalità espressa dalla contrada di Morù all’interno dei propri quartieri. Sessanta anni addietro era proprio un presepio vivente fatto di personaggi intenti a cucire e ricucire i loro propositi quotidiani mentre la strada principale sembrava scandire il tempo a quanti andavano o rientravano dalla fonte, dagli orti, dalla campagna o dagli altri vicinati. E c’era spazio anche per gli anziani che a fatica ed a passo lento, per via degli acciacchi, tiravano a campare sperando in un domani migliore.  In un fermo immagine del 1955 il fotografo è riuscito a rappresentare un aspetto paesaggistico della Morù di ieri. In particolare i dettagli inquadrano un tratto della via principale, l’unica fontanella pubblica, una scalinata che si impenna verso l’alto e quattro o cinque casette con gli architravi e gli stipiti delle aperture tinteggiati di color bianco sporco e con i tetti a spiovere da un solo versante. Lungo strada, tra il fontanile e la scalinata, una ragazza in costume incita con una piccola frusta un asinello a procedere più spedito. Sulla groppa dell’animale, due sacchetti semipieni di mercanzia lasciano intravedere le estremità inferiori della sella. Al disopra dei tetti una fitta vegetazione cresciuta a fil di parete sullo strapiombo di Su Toni sembra fungere da bambagia al quadro pittorico del passato. Chiudono lo scenario le ombre a perpendicolo generate dai corpi inanimati e da quelli in movimento. Dappertutto bambini, giovani ed anziani. Gli animali erano rappresentati in maggior parte dalle galline. Vivacità nei primi, spensieratezza nei secondi, saggezza nei terzi e stupidità e goffaggine nei rari voli radenti dei pesanti pennuti. Che poesia ripercorrere mentalmente le strade di una volta. La modernità ed il progresso hanno imposto altri materiali, altri movimenti architettonici, altre pennellate. Peccato! Resta comunque la magia espressa dall’antico borgo incassato ai piedi della montagna in custodia di pochi abitatori e per giunta molto anziani.  Quando ripasso da queste parti, nel vedere case sventrate, tetti pericolanti, ballatoi in stato di precarietà, pergole con le impalcature traballanti, percorsi accidentati, incuria ed abbandono un po’ dappertutto, avverto quasi la colpa di non aver mai tentato di porre alcun rimedio. Purtroppo la mia diagnosi arriva con molto ritardo. Una settantina di metri più in alto, al disopra di una verticale su cui inerpicarsi è sempre stato proibitivo, c’è l’altopiano d’oro. Per arrivarci bisogna aggirare l’ostacolo puntando a sinistra verso un inghiottitoio molto tortuoso e ripido denominato Titoni oppure risalendo sulla destra i percorsi accidentati e scoscesi di Craccalasi e Catzolaghedu.  A Su Pranu, grosso agglomerato urbano di recente formazione,  i tonaresi commerciano campanacci, torrone ed altri prodotti. Commercerebbero anche il tempo se fosse possibile, contrariamente a quanto succede a Morù dove questo ultimo articolo resta avvitato allo zero assoluto da molti decenni. I pochi abitatori  viaggiano intorno ad età proibitive. I giovani, oggi in età matura, curano i loro interessi in terre lontane. Non so se qualcuno faccia rientro per le ferie alla piccola borgata. Molto probabilmente ripiegherà in qualche alloggio dell’altopiano illuminato d’oro. Oggi Morù è un museo a cielo aperto.  Rimane viva la storia della contrada nella memoria degli anziani e soprattutto in quella raccontata dagli archivi ecclesiastici e notarili. Una storia fatta di piccole cose, di pochi segreti e di tante testimonianze che nella loro semplicità sorprendono anche i lettori d’immagine più esigenti e più scrupolosi.