di Franco Niffoi
I dipinti della bottega degli Are
I dipinti murali, presenti sulle pareti e sulla volta del presbiterio
della chiesa di Sant’Antonio a Tonara, rappresentano momenti della
vita del santo e miracoli a lui attribuiti dalla tradizione popolare. L’opera
è stata eseguita presumibilmente
attorno al 1750 da Gregorio Are. Essa
si inserisce all’interno dei cicli di tempere murali eseguiti da Pietro
Antonio e Gregorio Are, padre e figlio, che operarono per più di quarant’anni,
tra la quarta e l’ottava decade del XVIII secolo, in una vasta area
della Sardegna che si estende dalla Barbagia all’Ogliastra.
La dinastia degli Are, famiglia di pittori
di lontane origini genovesi, fu attiva per un lungo arco cronologico, forse
addirittura a partire dal 1678, per le decorazioni dell’oratorio della
Madonna d’Itria ad Orani, fino al 1777, ultima data ricavabile da
un documento a Fonni. I principali affreschi attribuiti alla bottega di
Pietro e Gregorio Are sono quelli presenti, oltre che a Tonara, a Fonni,
relativi alla chiesa della SS.Trinità, alla basilica di Nostra Signora dei
Martiri e al contiguo oratorio di San Michele, a Orani nella Chiesa del
Rosario, a Nuoro nella chiesa della Madonna delle Grazie, a Triei nella
chiesa intitolata ai Santi Cosma e Damiano e a Sarule nella chiesa di Santa
Croce.
Non risulta sempre facile la distinzione
di mano poiché presumibilmente il giovane Gregorio iniziò come aiuto alle
imprese paterne per poi affiancarsi e infine subentrargli in piena autonomia.
Le due personalità tuttavia si distinguono
sensibilmente: se Pietro Antonio cerca una corretta impostazione della figura,
anche attraverso le immagini a stampa, e predilige le ambientazioni naturalistiche,
Gregorio tende al grottesco, alla deformazione caricaturale e insiste su
scene affollate e animate da episodi anedottici. Al primo sono attribuibili
presumibilmente la Creazione di Eva nell’antico coro della chiesa
della SS.Trinità a Fonni, databile tra il 1730 e il 1735, e le Storie di
San Paolo eremita nella chiesa del Rosario a Orani, datate 1754; al secondo,
la Bocca d’inferno nella cappella dell’Immacolata, datata 1757,
l’Apparizione di San Francesco sul carro di fuoco, del 1760, nella
sacrestia antica, e, nello stesso anno, la Cacciata degli angeli ribelli
dell’oratorio di San Michele a Fonni, le Nozze di Cana e la predica
di San Domenico nella chiesa del Rosario a Orani (1738-54).
Nel
libro “Pittura e scultura del ‘600 e ’700”, della
collana “Storia dell’arte in Sardegna”, l’autrice
Maria Grazia Scano afferma che “la dinastia degli Are (…) non
può essere semplicisticamente ricondotta al dilettantismo evidente in altre
manifestazioni sciolte che costellano il panorama sardo del Settecento,
messo in crisi dai difficili passaggi culturali del momento. Al contrario,
nelle sue diverse personalità, la famiglia degli Are esprime, con costanza,
una sua idea dell’arte tendente al rispetto delle convenzioni linguistiche
auliche e, al tempo stesso, fortemente legata alla domanda d’informazione
di ceti popolari. Da qui il gustoso e non incolto sincretismo tra figurazioni
di sapore ancora medievale e l’emergenza di immagini legate alla buona
regola del disegno se non proprio alla formalità contemporanea”.
La chiesa di S. Antonio da Padova,
collocata in un’ampia piazza all’ingresso di Tonara, risale al XVIII secolo.
Nel sottarco sono dipinti piante e fiori con uccelli che succhiano il nettare. Il presbiterio è decorato da luminose pitture risalenti presumibilmente al 1750 ad opera di Gregorio Are, e ritraggono scene della vita di Sant’Antonio. Alle spalle dell’altare si trovano tre nicchie che accolgono al centro la statua di Sant’Antonio, a destra quella di S.Ignazio da Laconi e a sinistra quella di Fra Nicola da Gesturi. Il ciclo dei dipinti del presbiterio è interamente dedicato a Sant’Antonio e narra alcuni dei numerosi miracoli a lui attribuiti. Rispetto ai dipinti dei medesimi autori presenti nelle chiese di Fonni, Nuoro e Orani gli affreschi di Tonara costituiscono un’ espressione più elementare di pittura devozionale a preminente scopo pedagogico. Sulla volta del presbiterio è raffigurata la celebre predica ai pesci. I pesci, saliti in superficie, ascoltano il Santo che indica il cielo e li benedice mentre gli eretici osservano stupiti la scena. La linea, evidente nel drappeggio della veste del Santo, ha uno spessore irregolare e comunica sensazioni di slancio verso l’alto. I colori sono chiari e in gradazione e trasmettono serenità. La sovrapposizione degli elementi suggerisce la tridimensionalità; il peso visivo è concentrato al centro ed è determinato dalle dimensioni della figura di Antonio. Il dipinto rappresenta in modo efficace l’evento, riducendo all’essenziale gli elementi raffigurati, ma senza trascurare dettagli significativi quali le bocche dei pesci spalancate.
Sulla parete destra è raffigurato il
miracolo della mula, uno dei più celebri operati dal Santo.
Un uomo, non credendo alla reale presenza
di Cristo nell’ostia consacrata, chiede ad Antonio di dimostrare il
valore del Santissimo: egli avrebbe creduto infatti solo se la sua mula
avesse adorato l’Eucaristia. Nel dipinto è rappresentato a sinistra
il Santo che indossa la cotta e mostra l’ostensorio, davanti a lui,
trattenuta dal padrone, la mula inginocchiata che rifiuta il cesto di biada
e sullo sfondo due figure femminili che osservano la scena. La linea ha
uno spessore evidente e definisce i contorni delle figure e del paesaggio.
I colori sono caldi e chiari, in armonia. La luce è naturale, diurna e diffusa.
La dimensione degli elementi, la loro sovrapposizione e quella dei piani
di profondità, soprattutto sullo sfondo, suggeriscono lo spazio. Il peso
visivo è concentrato sulla figura della mula ed è dato dalle dimensioni
e dalla posizione all’interno della composizione.
Sulla medesima parete,
nella scena adiacente, si trova un episodio meno noto: una donna, non potendo
avere figli si rivolse al diavolo, sottoscrivendo un patto, per il quale
avrebbe avuto un figlio che sarebbe però morto a soli diciotto anni e la cui
anima sarebbe stata dannata. Il giovane però, si rivolse a Sant’Antonio che lo
liberò dal patto contratto dalla madre, salvandolo.
La leggenda tonarese
attribuisce però al dipinto la rappresentazione della storia di un uomo vittima
di una usuraia, costretto a versarle del denaro ogni volta che lei lo avesse
richiesto. Alla morte della donna poiché gli eredi continuarono a perpetrare il
torto all’uomo, questi decise di impiccarsi: mentre si recava con una corda
alla ricerca di un albero incontrò Sant’Antonio che lo accompagnò all’Inferno
dalla donna che fu costretta a firmare la dichiarazione che liberò l’uomo dal
sopruso. Qui la figura grottesca di Satana e del demonio rimandano ai dipinti
eseguiti da Gregorio nella cappella dell’Immacolata a Fonni. La linea, dallo
spessore evidente e irregolare delimita le forme. I colori contrastanti
contribuiscono a dare drammaticità alla scena. Il peso è concentrato nella
parte sinistra ed è determinato dall’assenza di altre figure. La parete
sinistra appare alla critica stilisticamente più debole e assai meno efficace
dal punto di vista compositivo; ciò induce a ritenere probabile la presenza di
un anonimo collaboratore che affiancò Gregorio divenuto ormai capo bottega dopo
la morte del padre. Sulla parete sinistra sono raffigurate quattro scene
distinte. Nella prima è rappresentato il Santo che predica ai fedeli.
L’ambiente raffigurato è interno, chiuso. La tridimensionalità dell’immagine è
resa attraverso la sovrapposizione degli elementi, evidente nel gruppo dei
fedeli, o dei piani di profondità. La linea, dallo spessore evidente, delimita
le forme degli elementi architettonici o suggerisce li volume nelle vesti dei
personaggi. I colori sono chiari e prevalentemente caldi, in armonia, stesi per
campiture piatte. Il peso visivo è concentrato sul Santo ed è determinato dalla
posizione delle figure all’interno della composizione.
La seconda scena
illustra un miracolo compiuto dal Santo: Antonio, che si trovava a Padova e
predicava, seppe per rivelazione divina che il padre a Lisbona era stato
ingiustamente accusato di omicidio. Trasportato miracolosamente in Portogallo,
dimostrò l’innocenza del padre facendo risorgere la vittima del delitto per il
tempo necessario per scagionare l’uomo a torto accusato. La scena rappresenta
in primo piano la fossa dalla quale si affaccia il giovane, riportato in vita,
ai piedi del Santo e del condannato; in secondo piano è rappresentato un
drappello di guardie armate e riccamente vestite, mentre sullo sfondo si
staglia una scala appoggiata a una forca davanti alla quale sfila la
processione della compagnia della buona morte. Nel paesaggio la linea, dallo
spessore evidente, ha un andamento curvo di direzione orizzontale. Prevalgono i
colori freddi e chiari, in gradazione. La luce è naturale e diffusa, e la
sovrapposizione degli elementi suggerisce la profondità.
La terza scena narra di
un frate di Montpellier che aveva rubato ad Antonio un prezioso volume. Mentre
tutti cercavano il libro scomparso, il Santo si era ritirato in preghiera, e il
frate, che tentava di scappare, era stato bloccato su un ponte da uno spettro
spaventoso, che lo aveva indotto a tornare al convento e a rendere il
manoscritto rubato. Nella scena è evidente la presenza della linea curva,
soprattutto nel prato e nel fiume : essa ha la funzione di delimitare le forme
e di suggerire le superfici. Il peso visivo è concentrato sui due personaggi
sul ponte ed è determinato dall’assenza di altre figure. La quarta scena
rappresenta il frate in preghiera in un interno: in primo piano il santo, sullo
sfondo le pareti e il pavimento suggeriscono lo spazio. I colori sono scuri e
caldi, la linea curva delimita le forme. Il peso visivo è concentrato al centro
e pone in rilievo il personaggio. L’opera comunica staticità ed equilibrio. E’
interessante notare il ricorso sistematico da parte dei pittori a un repertorio
decorativo formulare, osservabile nei dettagli delle volute floreali abitate da
uccelli che decorano il sottarco nel presbiterio, e che si ripetono assai
simili anche a Nuoro e a Fonni, suggerendo il probabile uso di cartoni o di
altri sistemi di riproduzione seriale. I dipinti della bottega degli Are,
infatti, accanto alle raffigurazioni principali, contengono una serie di motivi
ornamentali e decorativi che svolgono un ruolo non secondario nell'attività dei
pittori e spesso costituiscono brani tra i più felici della loro produzione.